KIRIA racconta: “Bello da morire” – CAPITOLO 5: Diana

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TRAMA: uno studente delle superiori, dotato di una bellezza fuori dal comune, scatenerà involontariamente la furia criminale di qualcuno a lui molto vicino… Attenzione: il seguente testo potrebbe contenere linguaggio non adatto a un pubblico sensibile.

La relazione tra Diana e Fabio mi aveva sempre affascinato dal punto di vista antropologico. Diana era la femmina alfa, bella, corteggiata, estremamente consapevole dell’effetto che suscitava in chi la guardava; Fabio invece era un maschio remissivo, disposto anche a farsi da parte in vista di un maschio alfa pur di non perdere il suo diritto all’accoppiamento. Era evidente che Fabio aveva qualche problema di autostima per tollerare la ripetizione di certi comportamenti. Domenica, che vedeva tutto con ottimismo, pensava che fosse solo molto innamorato. Io, un po’ meno idealista e più disillusa, pensavo che soffrisse di qualche forma di disagio che forse un bravo specialista avrebbe potuto risolvere.
Nonostante Diana e io fossimo compagne di classe fin dalle medie, non sapevo molto di lei al di là delle sue peripezie con i ragazzi di turno. Ogni tanto mi aveva chiesto una mano in questa o quell’altra materia, ma niente di più. Ogni volta che cercavo di conoscerla meglio si ritirava come una tartaruga nel suo guscio. Fabio, se possibile, era ancora più riservato di lei. In quattro anni di liceo mi aveva rivolto la parola sì e no una decina di volte.

Quel mattino arrivai in classe di buonora. Di solito, per quanto presto arrivassi, la Fragola era già seduta alla cattedra con qualche rivista tra le mani, in attesa che suonasse la campanella per iniziare la lezione; invece quel giorno pareva essere in ritardo. Nemmeno Domenica era ancora arrivata. Non ci feci troppo caso e mi misi a chiacchierare con alcune compagne.
“Mamma mia, che freddo!” borbottò all’improvviso Alessia, chiudendo la finestra. “E siamo solo ai primi di ottobre! Sarà dura arrivare a marzo!”
In quell’istante qualcosa, o forse qualcuno, lanciò un grido disperato. Ci guardammo intorno per capire da dove provenisse. Alcuni ragazzi aprirono la porta e andarono a controllare in corridoio. Con la coda dell’occhio scorsi qualcosa delle dimensioni di una persona cadere di fronte alla finestra.
Tiziana, una ragazza minuta appoggiata al vetro, lanciò un grido e si portò le mani alla bocca.
“ERA DIANA! L’HO VISTA, ERA LEI!” gridò terrorizzata. Mi avvolsi in una sciarpa, aprii la finestra e mi sporsi dal davanzale.
Diana giaceva in una pozza del suo stesso sangue. I suoi riccioli biondi erano tinti di rosso e i suoi occhi azzurri erano vitrei e terrorizzati. Distolsi la vista quasi subito ma finii comunque per vomitarmi addosso. Corsi in bagno, tremando come una foglia, senza capire cosa fosse accaduto. Cercai di piangere, ma non ne fui nemmeno capace.
Nel giro di pochi minuti sentii le sirene della polizia farsi sempre più vicine. Rimasi chiusa in bagno finché non mi sentii abbastanza forte per andare a rispondere alle domande che sicuramente i poliziotti mi avrebbero rivolto. Telefonai a Domenica, ma non rispose. Chiamai Eraldo e, con mia enorme sorpresa, sentii un telefono squillare proprio nel cubicolo vicino al mio.
“Pronto?” rispose a bassa voce Eraldo.
“Cosa fai nel bagno delle donne?” dissi io.
Eraldo aprì la porta e mi guardò, atterrito.
“Non sono stato io, te lo giuro” disse, spaventato.
“A fare cosa?” domandai, sulla difensiva.
“Lo sai benissimo” disse lui, con le lacrime agli occhi. “Io le volevo bene, non le avrei mai fatto una cosa del genere!”
“Posso anche crederti, ma come spieghi di essere a scuola durante una sospensione?”
“Anche Fabio è qui, l’ho visto entrare… la Fragola aveva messo una buona parola con la preside e voleva ritrattare la sospensione…”
Convinsi Eraldo a uscire dal bagno ed entrambi andammo a farci interrogare. Mi tolsi il maglione sporco e mi misi il giubbotto, poi mi affacciai alla finestra del corridoio. C’erano diverse volanti della polizia fuori dalla scuola e mi parve di vedere anche la madre di Domenica.
Riversai tutte le lacrime che non avevo versato prima durante l’interrogatorio. Il poliziotto non si scosse, era certo abituato a certe scenate.
“Lei che era amica della vittima, è in grado di darci informazioni sulla sua vita sentimentale?” domandò l’uomo.
Gli raccontai di Fabio, di Eraldo e di tutti i ragazzi che c’erano stati in mezzo.
Quando uscii dall’aula vuota adibita a stanza degli interrogatori, vidi Domenica entrare dopo di me. Mi domandai quando fosse arrivata e che cosa potesse mai aver visto, ma ero troppo distrutta per volerlo veramente sapere.

I giorni successivi la scuola, che avrebbe dovuto essere in lutto per la perdita di una nostra compagna e amica, era pervasa da una morbosa eccitazione. Era tutto un domandarsi se si fosse trattato di un incidente o di un omicidio. Alcune indiscrezioni dicevano che l’autopsia non aveva segnalato segni di abusi di alcun tipo e che la causa di morte era senza dubbio la caduta, ma come era caduta? L’aveva spinta qualcuno? E se sì, chi poteva avercela a tal punto con lei?
Fabio non venne a scuola per un po’, nonostante la sua sospensione fosse stata revocata. In giro si diceva che su di lui gravasse l’accusa di omicidio non premeditato, ma avevo imparato a ignorare le cretinate che sentivo.
Il posto vuoto accanto a me mi faceva venire i brividi. Era come stare seduta accanto al Tristo Mietitore, invisibile quanto inesorabile.
Avrei dovuto prendermi qualche giorno per stare a casa e metabolizzare l’accaduto, come avevano fatto quasi tutti i nostri compagni, invece decisi che cercare di impegnare il cervello fosse la cosa giusta. Un giorno fui colpita da un mal di testa fortissimo che mi costrinse a uscire dall’aula. Iniziai a passeggiare per i corridoi massaggiandomi le tempie con le dita, sperando di stare meglio. Qualunque rumore mi infastidiva, compreso l’eco delle lezioni che proveniva dalle varie classi. D’un tratto sentii un gemito provenire dall’aula di fisica. Dati i recenti accadimenti, una persona normale avrebbe chiamato qualcuno che controllasse al posto suo, o almeno avrebbe avuto il buon senso di tirare dritto, invece io ero tanto rintronata che decisi di guardare da sola. La porta era chiusa ma cercai di aprirla senza far rumore. Tutto mi sarei aspettata di trovare tranne quello che vidi.
La professoressa Fragola, spettinata e mezza nuda, con la camicia aperta e la gonna sollevata, era sdraiata sopra uno dei tavoli della stanza. Eraldo, sopra di lei, pareva aver trovato il modo di guadagnarsi la sufficienza fino alla fine dell’anno scolastico.
Chiusi la porta, pregando che fossero troppo concentrati sui piaceri della carne per essersi accorti della mia presenza. Quell’immagine tormentò i miei sonni per parecchie notti.