KIRIA scrittrice è tornata con un racconto breve: “La rosa sulla lapide”

Ho letto di recente delle cose che mi hanno colpito molto. Uno dei film che mi ha più commosso tra quelli che ho visto è senza dubbio “La sposa cadavere” di Tim Burton, in cui viene raccontato l’intreccio matrimoniale tra un vivo e una morta. Ho scoperto che in realtà in Asia vengono effettivamente praticati dei matrimoni tra vivi e morti, o anche tra morti. In Cina, quando un ragazzo muore celibe, la famiglia si sente in dovere di trovare una ragazza morta con cui seppellirlo, mentre a Taiwan le ragazze nubili morte vengono date in spose a chi sarà abbastanza misericordioso da accettare il matrimonio con un cadavere. Gli uomini sposati a queste donne saranno comunque liberi di risposarsi, ma dovranno per sempre considerare le defunte come le loro prime mogli. Questa cosa mi si sta rigirando in testa da qualche giorno. C’è qualcosa di tragico ma estremamente romantico in tutto questo, è l’ennesima unione dell’Amore con la Morte, di Eros e Thanatos… Insomma, tra un pensiero e l’altro ho scritto questo racconto. Non è niente di che, ma mi andava di scriverlo. Spero vi piaccia!

La rosa sulla lapide

“Chi sei?” sussurrò una voce femminile.
“Chi sei tu, piuttosto! Io credevo di essere da solo!” rispose un ragazzo in un vicolo, nei pressi di un cimitero.
“Dovresti chiedermi chi ero, non chi sono.” rispose la voce.
“Chi eri?” domandò lui.
“Non lo so. Non me lo ricordo più. È passato tanto tempo da quando respiravo ancora. Non dovresti girare da solo di notte. Fa molto freddo e tu sei ammalato.”
“Come fai a saperlo?” domandò lui, toccandosi il petto.
“I tuoi polmoni… Anche io avevo la tua stessa malattia, sai? Ma tu guarirai, stai sereno. E’ lontano il tempo in cui le tue ossa toccheranno la terra. Ascoltami, ti prego! Ho bisogno d’aiuto, o resterò per sempre intrappolata in questo mondo!”
“Non sei umana, dunque?” chiese lui, spaventato.
“Lo ero. Lo sono ancora, in parte. Non me ne posso andare. Mia madre, sul suo letto di morte, mi ha fatto promettere che mi sarei trovata un bravo marito. Invece ho abbandonato il mio povero corpo senza portare a compimento quel voto. Non posso lasciare questa terra da sola, senza un uomo a cui rivolgere il mio ultimo sospiro.”
“Sei morta, dunque?”
“Sì. Non preoccuparti, è stato facile. Non mi ha fatto male. Sono scivolata dalle braccia del sonno a quelle della morte senza neppure accorgermene. Puoi aiutarmi?”
“Cosa posso fare per te?” chiese il ragazzo, con la voce rotta dalla commozione.
“Puoi trovare qualcuno che mi voglia come sposa? Non ho niente da offrirgli, se non quell’unica lacrima che i miei occhi traslucidi potrebbero ancora piangere per ringraziarlo. Cresce una rosa sulla mia lapide. Guarda alle tue spalle. E’ lì che giace quel poco che resta di me.”
Il ragazzo si voltò e vide la tomba. Era spoglia, di pietra, senza iscrizioni. Solo una rosa rossa e perfetta adornava quella lapide immemore.
“Perché non c’è scritto il tuo nome?” domandò il ragazzo.
“Nessuno sapeva chi fossi. Ero sempre in viaggio, che ci fosse il sole, la pioggia o il vento. Morii la notte in cui giunsi in questo paese. Mi seppellirono senza pianti e senza dolore. Il mio solo conforto fu quel fiore che mi donò la piccola figlia del becchino. È l’unico gesto d’amore che mi ha accompagnato verso la mia nuova esistenza. Ero sola da viva e lo sono anche da morta. Quando ti ho visto mi hai ricordato la luce del giorno che ho perduto per sempre. Sei così bello, con quei capelli biondi come l’oro e gli occhi così chiari. Non oserei chiederlo, ma… mi vorresti come moglie?”
“Sposarti è l’unico modo per renderti libera di lasciare questa terra?”
“Sì, ma solo se mi farai una promessa. Devi promettermi che prenderai quella rosa e che la terrai sempre con te. Non appassirà fino al giorno in cui tu non la getterai via.”
“Devo confessarti che io sono promesso a un’altra donna…” disse il ragazzo.
“Non è importante. Potrai sposare la tua fidanzata, purché tu continui a pensare a me come alla tua prima moglie.”
Il ragazzo tacque per qualche secondo.
“Se solo mi avessi conosciuta in vita, forse mi avresti potuta amare. Sapevo suonare molto bene il violino, sai? La musica era tutto ciò che mi rallegrava. Ballavo e cantavo per tutte le persone che conoscevo durante i miei viaggi. Forse ti avrei scritto una canzone.”
“Voglio aiutarti.” Sussurrò il ragazzo, inginocchiandosi davanti alla rosa.
“Vuoi davvero farlo?” sussurrò la voce, speranzosa.
Il ragazzo colse la rosa e la strinse tra le mani.
“Conserverò per sempre il tuo ricordo, penserò a te come alla mia prima sposa e terrò per sempre con me questa rosa.” Disse il giovane.
Una bella ragazza comparve davanti a lui, proprio sopra la lapide. Indossava una veste candida che in pochi istanti diventò scarlatta e fulgida. La fanciulla lo guardò con i suoi grandi occhi neri e gli sorrise, senza dire una parola. Una lacrima scese lungo la sua guancia. Il giovane uomo, con gli occhi spalancati dalla sorpresa, allungò la mano per toccare quella visione diafana. Per pochi secondi, le loro dita si incrociarono. La sposa posò un bacio evanescente sulle labbra di colui che l’aveva liberata.
“Grazie” sussurrò, scomparendo nel nulla.
Il ragazzo si guardò la mano sinistra. Laddove avrebbe dovuto trovarsi l’anello nuziale, brillava l’ultima lacrima della fanciulla fantasma.