KIRIA racconta: “L’assassino delle fiabe” – PARTE 9

“Francesco, cosa stai facendo?” sussurrai, preoccupata.
“Dovrei chiedertelo io!” rispose lui, lasciandomi andare le mani. “Stavi cercando di strangolarmi!”
“Che cosa?!”
“Mentre guardavamo il film, a un certo punto mi hai guardato con un’espressione strana e mi hai messo le mani alla gola! Sono riuscito a fermarti per un pelo, ma avevi la forza di un leone!”
Fissai le mie mani, non capendo cosa stesse accadendo.
“Io… io non ricordo niente!” dissi. “D’improvviso, un’ondata di flashback tornò alla mia memoria.
Aprii una botola sotto la mia scrivania. Portava a uno scantinato in cui non andava mai nessuno. Non c’era polvere, nonostante non pulissi lì sotto da un po’. Iniziai a scendere le scale, chiedendo a Francesco di non seguirmi.
Quello che vidi mi distrusse l’anima. Sopra un tavolo, accuratamente disposti, vidi del rossetto rosso, una scarpa da donna, del trucco azzurro, una pila di vestiti, una ciocca di capelli lunghissimi e una di riccioli biondi. C’era uno spazio vuoto tra i vestiti e le ciocche di capelli, laddove avrebbe dovuto trovarsi qualcosa di Francesco. Peter Pan. Un pugnale giaceva proprio sotto il tavolo. Me lo rigirai tra le mani. Un fulmine mi attraversò il cervello, penetrate come mille aghi. Lo stesso pugnale con cui l’assassino aveva inciso l’uncino sulla sua schiena… Un foglio era appeso alla parete con delle puntine. Riconobbi la calligrafia con cui l’inchiostro aveva vergato un’inquietante filastrocca.

Biancaneve si è addormentata, ma la mela la strozzò.
Senza un principe né un bacio sempre morta lei restò.

Cenerentola perse un scarpa mentre lasciava la festa,
ma poi scivolò dalle scale, cadde e si ruppe la testa.

Il bel principe, in un fosso, senza fiori solo langue
Ora è azzurro perché ormai è cianotico il suo sangue.

La bella e la bestia si amavano in modo proibito,
ma con una corda alla gola adesso è tutto finito.

Raperonzolo non scioglierà più i suoi capelli
Son prigionieri della morte i suoi occhi belli.

Alice curiosa rincorreva il Bianconiglio
Sottoterra insieme a lui, è questo il suo giaciglio.

Mi accasciai a terra. Mi ricordai tutto all’improvviso.
“Li ho uccisi io…. sono io l’assassino delle fiabe…” sussurrai.
“Non è quello che hai sempre voluto?” disse una voce, nella mia testa. “Hai sempre odiato quelle sciocche fiabe sempre a lieto fine. Finalmente hai riportato un po’ di giustizia!”
“Erano mie amiche…” risposi a quella voce.
“Tu non hai amici” ribatté la voce. “Tu sei nata per vivere sola. Ti ricordi quando eri bambina? Nessuno voleva giocare con te. Allora ti rifugiavi chissà dove con un libro di storie tra le mani, e invidiavi quei personaggi a cui andava sempre tutto bene. Adesso ti sei finalmente vendicata!”
“Non ho mai voluto vendicarmi” singhiozzai.
“Ma io sì. Sei un’assassina, Marta. Sei la strega cattiva, sei nata per questo ruolo! Hai visto come sei stata brava a non farti mai scoprire dalla polizia?”
Frammenti di memoria iniziarono a tornare. Il costume nero da assassino nascosto nello zaino e poi gettato in un inceneritore, il coltello maneggiato solo con i guanti, le grosse corde per saltare usate per indurre l’ultimo respiro…
“Sono un’assassina” ripetei a me stessa. “Sono un’assassina…”
“No! Non è possibile!” gridò Francesco, che stava scendendo le scale nonostante gli avessi chiesto di non farlo. Lo vidi gettare una rapida occhiata davanti a sé, dove si ergevano i macabri trofei delle mie uccisioni.
“Me lo ricordo…” singhiozzai. “Adesso me lo ricordo! Sono stata io! Non ero cosciente quando lo facevo, ma sono stata io!”
Mille frammenti obliati nel mio inconscio si stavano riversando davanti ai miei occhi come inchiostro avvelenato. “Mi… mi ricordo tutto…” sussurrai, fissando il vuoto davanti a me. “Non sono riuscita a ucciderti solo perché ti amo!”
“Devi solo farti curare!” disse Francesco, tentando di avvicinarsi a me. “Non eri in te quando uccidevi quei ragazzi, non possono incolparti di qualcosa che non volevi!”
Francesco mi strinse contro il suo petto. Non riuscivo a credere che fosse disposto a perdonarmi.
“Non voglio farmi curare” risposi, a bassa voce. “Non esiste una cura a quello che provo. Vorrei riportare tutti in vita, ma non posso. Non posso vivere con questo peso sulla coscienza.
Senza farmi notare, iniziai a registrare un video con il cellulare.
“Grazie per avermi fatto conoscere qualcosa che non avrei mai creduto di provare” dissi, col respiro corto. Solo allora Francesco si rese conto che avevo un pugnale tra le mani.
“No, ti prego, non uccidermi!” gridò lui, facendosi scudo al volto con le mani.
Caddi a terra. Solo allora Francesco si girò verso di me.
Il coltello con cui avevo intenzione di ucciderlo era piantato nel mio stomaco.
“Forse tu puoi perdonarmi, ma io non posso. Vivi per me. Sarò io la mia ultima vittima” dissi, con la poca voce che mi restava. “Dai alla polizia il mio telefono, così non penseranno che sia stato tu. Baciami un’ultima volta.”
Fu così, nello scantinato sotto la mia camera da letto, tra le labbra e le lacrime di Francesco, che dissi addio ai miei peccati e chiesi perdono alle mie vittime. I miei occhi iniziarono a chiudersi, le mie mani lasciarono andare il pugnale. Non sentivo più niente: solo il sale che mi bagnava la bocca. Scivolai da sola verso il buio, come la strega che viene arsa sul rogo, come Capitan Uncino tra le fauci del coccodrillo, come il cattivo di ogni fiaba…

 

P.S.: La storia di Marta non è ancora finita…