CAP 1, Daniele – Vecchie amicizie | A un cuore di distanza

Visto che alla Festa dell’Unicorno di Vinci ho letto in anteprima il primo capitolo del mio nuovo romanzo, direi che finalmente posso condividerlo anche con voi! Spero vi piacerà.

Daniele – Vecchie amicizie

«Che accidenti ti sei messo?!» esclama Leonardo scoppiando a ridere.

«Perché, che c’è che non va?» domando.

Il riflesso nello specchio mi restituisce l’immagine su sfondo nero di Ahri, il mio personaggio preferito di League of Legends. E pensare che l’ho pagata 25 euro questa roba.

«Anche tu giochi a LoL!» borbotto. «E tu hai la maglia di Viego, me lo ricordo; l’abbiamo comprata insieme al Lucca Comics!»

Leo sbuffa sonoramente, facendo spostare verso l’alto un ciuffo di capelli mossi.

«Dani, questo è il nostro primo giorno come studenti del liceo; è la grande occasione che stavamo aspettando per ripartire da zero e crearci un briciolo di reputazione. Vuoi veramente farti affibbiare l’etichetta di nerd fin da subito?»

«Ma io sono un nerd e ne vado fierissimo! Anzi, dovresti andarne fiero pure tu!»

«Bene, oggi invece siamo persone normali!» urla Leo, lisciandosi la felpa bianca immacolata sulla pancia piatta, in contrasto con lo zaino blu scuro. Con quello che mangia, quali patti satanici ha sottoscritto per essere così secco? «Levati quell’affare e vatti a mettere qualcosa di più anonimo, non stiamo andando al Lucca Comics!»

Mi sfilo la maglia e la tiro dritta sulla faccia di Leo, immergendomi per qualche istante nell’armadio (devo proprio ricordarmi di rimettere in ordine, ogni tanto). Alla fine ne estraggo una maglietta di cotone tutta nera, con l’etichetta ancora attaccata; sicuramente l’ha comprata uno dei miei genitori, perché è davvero troppo anonima per i miei gusti.

Mi guardo velocemente allo specchio e mi passo le mani tra i capelli; ho provato a farli crescere durante l’estate e hanno raggiunto quella lunghezza di merda in cui non so se pettinarli in avanti oppure all’indietro. Almeno non sono più grasso come in prima media, ma qualche muscolo non mi starebbe male.

Do una rapida occhiata a Leonardo; credo sia cresciuto di almeno quindici centimetri solo negli ultimi tre mesi e ha decisamente superato il metro e ottanta. Il suo viso è abbronzato e non c’è la minima traccia di acne giovanile, mentre io sembro un lebbroso col vaiolo. E gli occhi mi bruciano da morire, stramaledette lenti a contatto. Quanto rimpiango i miei occhialoni neri! Ma almeno gli occhiali da sole mi servono, sennò è la volta buona che mi schianto.

Leo ed io saliamo insieme sul vecchio motorino rosso di zio Gabri; non sono molto bravo a guidare, ma c’è un bel sole e non voglio arrivare a scuola tutto sudato e appiccicoso. Il caffè decaffeinato e il pacchetto di cracker fagocitati prima che arrivasse Leo fanno un doppio salto carpiato nello stomaco e mi rendo conto solo adesso che in realtà a quest’ora fa già freddo e avrei dovuto portarmi una felpa, ma ormai si è fatto troppo tardi e ci conviene andare. Le strade sono piene di auto bloccate nel traffico, però io ho imparato a evitarle, come mi ha insegnato lo zio.

Prendo in pieno due semafori arancioni (ignorando le proteste di Leo) e finalmente arrivo di fronte alla nostra scuola.

Ok, ammettiamolo, non è un granché. I muri avrebbero bisogno di una riverniciata e la pavimentazione è rovinata dalle radici dei pini che fanno capolino sotto i nostri piedi. Dovrò stare attento a dove cammino, non posso permettermi di finire col muso per terra il mio primo giorno di scuola.

Parcheggio insieme agli altri motorini e mi incammino con Leonardo verso l’entrata. Lui è più svelto di me, con quelle gambe da giraffa che si ritrova, ma è talmente agitato da non accorgersi che io sono rimasto indietro. A differenza mia, che sembro un Cicciobello coi baffetti, lui ha già perso i tratti dell’infanzia; somiglia quasi a un ragazzo vicino alla maggiore età. Pazienza, forse io sboccerò più tardi. Anche lo zio Gabri è sbocciato tardi. Dio, fa che abbia preso da lui.

Leo mi fa strada fino al portone del nostro liceo e io comincio a guardarmi intorno, chiedendomi chi saranno i nostri compagni di classe. C’è un odore strano nell’aria, non capisco cosa sia; forse un misto di sudore, roba da mangiare… e fumo. Sì, qualcuno sta chiaramente fumando delle sigarette normali e qualcun’altro delle Iqos. Quanto puzzano di latrina queste Iqos. Davanti al portone di vetro e metallo (che suppongo un tempo fosse verniciato di rosso), ci sono tutte le classi prime del liceo scientifico, dell’istituto tecnico industriale e dell’istituto tecnico economico. Un paio di studenti si voltano per guardare nella nostra direzione, ma nessuno bada troppo a noi… Che sollievo. Non vedo nessuno che conosco e questo è un bene; anzi, un benissimo. E forse aveva ragione Leo; qui non siamo all’artistico e sono tutti vestiti in maniera abbastanza anonima. Colori neutri, magliette, felpe, maglioni, maglioncini, jeans, scarpe da ginnastica; persino gli zaini sono meno colorati di quanto mi aspettassi, anche se alcune ragazze hanno attaccato dei pupazzetti alle cerniere, e qualcuno invece ci ha messo delle spille. Tutti colleghi, tutti compagni di questa lunga avventura. Spero non più lunga di cinque anni. Ma no, dai, che vado a pensare, sono uscito col massimo dalle medie.

La maggior parte degli studenti è silenziosa, con lo sguardo fisso sul telefono, ma c’è un gruppo formato da quattro ragazze che ride ad alta voce proprio alle spalle di Leo. Sembrano il gruppetto di ragazze stronze di Mean Girls: tutte e quattro sono bionde e piuttosto magre, con indosso dei jeans attillati e delle magliette un po’ scollate; portano un trucco leggero sull’abbronzatura e sono parecchio attraenti. Noto distintamente che una di loro, quella più bionda di tutte, sta indicando il fondoschiena di Leo alla compagna, bionda pure lei ma con i capelli rasati da un lato. Le altre due, invece, si girano nella mia generica direzione, soprattutto una… che inizia a fissarmi. Ma che ha da fissare? Per fortuna ho messo gli occhiali scuri, quindi posso guardarla senza sembrare un maniaco. Oh no, forse mi fissa perché con gli occhiali sono ridicolo? Ha i capelli un po’ più scuri delle altre, con le punte leggermente rosate, e due occhi verdi che mi pare di aver già visto… ma dove? Caspita, è davvero bella; ha un viso da bambola con qualche lentiggine (o sono brufoletti? Non vedo un cazzo con queste lenti) e una maglietta chiara che lascia intravedere le sagome di un reggiseno. O forse me lo sto immaginando.

Ecco, perfetto, ora anche un’altra Mean Girl mi fissa. Ha la frangia un po’ troppo lunga, non riesco a vederle bene gli occhi. No, forse non mi sta guardando. Lei tiene i capelli in una coda di cavallo bella alta… Che carina però, con quel nasino all’insù e quell’espressione imbronciata. Ma l’altra è ancora più carina. Per un attimo mi sembra quasi che mi sorrida, ma la campanella mi riscuote dai miei pensieri.

«Dai!» grida Leo, tirandomi per un braccio, «Andiamo a cercare la prima C!»

Cerco di non farmi travolgere dalla mandria di studenti alle mie spalle e inizio ad arrancare sulla rampa di scale che porta al primo piano. Non ho fiato, cazzo, come farò a salire questi gradini tutti i giorni? Menomale che c’è Leo a farmi da apripista.

Ecco il cartello 1C, proprio di fronte al bagno delle ragazze. Leonardo ed io entriamo subito insieme ad altri tre o quattro maschi e ci piazziamo subito nell’ultima fila, mentre io riprendo fiato. L’aula è bruttina, me l’aspettavo. Credo che il pavimento sia di linoleum (ma esiste ancora?) e anche i muri sono un po’ crepati, ma qualcuno si è preso la briga di riverniciarli di bianco e si sente ancora la puzza, nonostante le finestre aperte. I banchi, almeno quelli, sono nuovi di zecca, con una bella finitura lucida, ma le sedie no. Queste sedie devono aver visto la breccia di Porta Pia. Ho quasi paura a posarci sopra il culo.

Avrei voluto sedermi un po’ più avanti, ma a Leo piace stare in fondo e io non ho il coraggio di obiettare. Mentre sistemo lo zaino per terra, un tranquillissimo zaino nero con un teschio di stoffa che Leo mi ci ha cucito sopra, noto delle ragazze sulla porta: le Mean Girls di prima.

«No, ma dai!» si lamenta quella coi capelli mezzi rasati, ad alta voce. «L’ultima fila è già completamente occupata!»

«Vuol dire che ci faremo andar bene la seconda!» dice la ragazza con gli occhi verdi e i capelli biondo scuro. Le quattro ragazze si siedono proprio di fronte a me e Leonardo, che si mette a squadrarle con un certo interesse.

Leo mi fa un cenno verso il basso: sta fissando le mutandine rosa della ragazza seduta a sinistra, quella più bionda di tutte, che sporgono appena dai pantaloni a vita bassa.

Vorrei fare un commento sessista, ma entra l’insegnante. È una giovane donna coi capelli rossi, le tette castigate dietro un cardigan leggero e una borsa a tracolla fatta all’uncinetto. O forse a maglia, bisogna che richieda a Leo la differenza.

«Buongiorno ragazzi!» dice con un gran sorriso. «Io sono la vostra professoressa d’italiano e latino e mi chiamo Angela Marchetti. Questo è il mio primo anno alle scuole superiori, fino all’anno scorso insegnavo alle medie. Spero che vi troverete a vostro agio! Adesso farò l’appello, vediamo se riesco a imparare come vi chiamate».

La prof inizia a elencare i nomi di tutti i ragazzi, e io mi lascio scappare uno sbadiglio mentre tiro fuori un quaderno nuovo e l’astuccio che avevo anche l’anno scorso.

Accorsi Iacopo

Alfieri Francesco

Bagnoli Noemi

Barducci Yasmin

Castelli Elena

Caruso Maia

De Rosa Isabella

Lo sbadiglio mi si conficca di traverso nei polmoni. DE ROSA ISABELLA? QUELLA Isabella?

La ragazza con gli occhi verdi e i capelli biondo scuro alza la mano e dice: «Presente!»

Leo ed io ci scambiamo un’occhiata.

«Che sia lei?» sussurro.

«F-forse?» bisbiglia lui, trafficando nel mio astuccio in maniera fin troppo rumorosa.

L’appello va avanti e dopo pochi secondi tocca a noi, che anche stavolta siamo vicini pure sul registro di classe.

Leonardo Genovese

Daniele Grimaldi

Mentre la prof aspetta la nostra risposta, Isabella si volta verso di noi e ci saluta con la mano. Sorride, e ora che ci penso riconosco quel sorriso; ha solo i denti più dritti di come li ricordavo.

«Ma allora è davvero lei», mormora Leonardo, ricambiando il saluto. Stringe forte la penna tra le dita, le nocche gli diventano quasi bianche, e per poco non pugnala con l’inchiostro il quaderno nuovo che ha di fronte.