CAPITOLO 1 – Il principe e la tigre | L’ultima regina

Il principe Aurisio Hayrik Arudam Kindreik si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Non erano stati un brutto sogno o un rumore a destarlo, eppure provava un senso d’inquietudine crescente. Si alzò dal letto, scostò la pesante tenda di broccato blu e spalancò la finestra per lasciar entrare l’aria fresca della notte.

D’improvviso, dinnanzi ai suoi occhi si materializzò un’immagine così nitida da sembrare reale: era lui al galoppo verso la Foresta Sacra, il bosco che nessun essere umano doveva violare, dove vivevano gli spiriti della terra e del cielo.

Si vestì in fretta e si diresse verso le stalle per sellare la sua giovane Dorotea; le guardie, quasi fossero tutte distratte e assopite, non parvero fare caso a lui.

Il gelo notturno sferzava il volto del principe mentre Dorotea correva e nitriva di gioia; gli uccelli e i grilli cantavano nascosti alla vista ma dolci all’udito; Aurisio non sapeva dove fosse la Foresta Sacra e lasciò che la giumenta scegliesse da sola la strada.

Man mano che si allontanavano da Munvestia, il polline dei fiori iniziò a farsi palpabile e Dorotea fu costretta a rallentare: il sottobosco era cresciuto rigoglioso e le chiome degli alberi impedivano al chiarore lunare d’illuminarlo.

La cavalla, spaventata dal buio e innervosita dai rovi che le graffiavano gli stinchi, si drizzò improvvisamente sulle zampe posteriori e prese a correre via.

Aurisio cadde sull’erba, gridando per il dolore; tentò di rialzarsi, ma la sua gamba destra non lo sorreggeva. Con grande sforzo riuscì finalmente a mettersi seduto e ad appoggiarsi a un frassino; prese fiato e cercò con lo sguardo la sua cavalla, ma di lei non vi era più alcuna traccia.

Il principe rimase per qualche istante con gli occhi chiusi e i denti stretti per il dolore, finché un lievissimo rumore di foglie fruscianti alle sue spalle non destò i suoi sensi e lo spinse a voltarsi di scatto. Si aspettava di rivedere la giumenta pentita per averlo disarcionato, invece si trovò di fronte una splendida tigre bianca intenta a fissarlo con i suoi enormi occhi gialli.

Aurisio iniziò a tremare e cercò inutilmente la spada al suo fianco, dimenticata nella gran fretta. La tigre iniziò a girargli intorno e prese ad annusarlo dolcemente; non pareva avere cattive intenzioni, ma il cuore del principe cominciò a battere talmente forte che d’improvviso tutto si fece buio.

I primi raggi del sole colpirono Aurisio in pieno volto; costringendolo ad aprire gli occhi.

«Che strano sogno ho fatto stanotte» sussurrò tra sé sedendosi sul letto.

Quando si guardò intorno, però, si rese conto di essere nel bel mezzo di una stanza circolare con le pareti di legno grezzo, al centro di un enorme letto che non era il suo.

«Buongiorno Altezza» cinguettò una giovane voce femminile.

Aurisio sussultò e vide una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi che lo guardava con dolcezza; era vestita di un sontuoso abito azzurro che lasciava appena intravedere i piedi nudi. Prima che lui potesse proferir parola, lei ricominciò a parlare.

«Vorrei scusarmi per il mio comportamento di stanotte. Ho visto la vostra giumenta disarcionarvi e ho capito subito che avevate una gamba rotta. Volevo aiutarvi, ma prima dovevo capire che tipo di persona foste.»

Aurisio rimase in silenzio per qualche istante, con gli occhi persi in quel viso perfetto. «Siete stata voi a cacciare quella tigre che voleva mangiarmi?» disse alla fine.

«Mangiarvi?» rise la ragazza, mostrando dei denti bianchissimi e perfetti. «Io volevo solo guarirvi!»

«Scusatemi signora, ho avuto una brutta nottata e pare abbia dimenticato le buone maniere. Principe Aurisio Kindreik, al vostro servizio. E voi siete…?»

«Chi sono io non è importante, Altezza. Sono solo una creatura benevola come tante altre, che vive nel bosco da decenni e che raramente si mostra in forma umana.»

“Forma umana?” pensò il giovane. “Che vive nel bosco da decenni? Questa fanciulla dev’essere una pazza, o forse una specie di megera.”

La fanciulla perse d’un tratto il buonumore e rispose, stizzosa: «Non sono né l’una né l’altra cosa! Non pretendevo un ringraziamento, ma non tollero questi insulti verso la mia persona».

«Vi chiedo perdono, io…» balbettò il principe.

«Ho ritrovato la vostra cavalla» tagliò corto la giovane. «Adesso è calma, riposata e rifocillata. Vorrei che tornaste subito a casa vostra, il re e la regina saranno in pena.»

«Perdonate la mia ingratitudine e permettetemi di ringraziarvi per quello che avete fatto per me; senza di voi sarei finito sbranato da quella fiera.»

«Sbranato?» ripeté la giovane, alzando gli occhi al cielo. «Vi ho già detto che non volevo farvi niente di male. Davvero non lo avete capito? Quella tigre ero io. Mi dispiace avervi spaventato, ma come vi ho detto non mi piace mostrarmi agli estranei in forma umana. Ho fatto un’eccezione per voi solo perché…»

La ragazza tacque un secondo, increspando le labbra rosee, ma dopo qualche istante riprese a parlare.

«Adesso per piacere andatevene. Vi chiedo solo due favori: tenete per voi quanto accaduto e non cercate mai più di ritrovarmi. Addio!»

Senza lasciare ad Aurisio il tempo di ribattere, la fanciulla disegnò un cerchio in aria con le dita.

La stanza circolare sparì nel nulla e il principe si ritrovò da solo d’innanzi a una vecchia quercia con la corteccia completamente bianca, nel mezzo della Foresta Sacra; l’immenso albero era talmente candido da rifulgere di luce propria.

Dorotea stava brucando pigramente l’erba che cresceva intorno alle radici della Quercia Bianca, ma Aurisio rimase immobile per un po’, senza decidersi a montare. Chi era quella ragazza? Cos’era? Perché lo aveva salvato? E come aveva guarito la sua gamba?

Alla fine, il principe salì a cavallo con riluttanza e Dorotea iniziò a trottare spontaneamente verso Munvestia, ma il giovane non fece altro che voltarsi indietro per tutto il tragitto.

Aurisio riuscì miracolosamente a tornare in camera sua senza essere notato, nonostante fosse ormai giorno fatto. Chiuse la porta, si sdraiò sul letto e iniziò a pensare alla ragazza bionda che l’aveva salvato; come avrebbe potuto ritrovarla, quando lei stessa gli aveva intimato di non cercarla mai più?

Il sole tramontò e finalmente sorse la luna. Il principe si era dato per malato e non aveva bevuto né mangiato per tutto il giorno; stava per cedere al sonno e alla fame, quando una voce improvvisa lo destò di colpo. «Altezza, mi duole disturbarvi, ma voi state disturbando me!»

Aurisio aprì gli occhi e vide ancora quella strana, splendida fanciulla fissarlo con le sopracciglia alzate. Era seduta ai piedi del letto con le gambe incrociate e la testa inclinata da un lato.

«Siete voi!» esclamò il giovane. “Com’è entrata?” si chiese. “Forse dalla finestra? Che sia capace di trasformarsi anche in uccello?”

«In realtà no, rispose la fanciulla. «Posso spostarmi con la forza del pensiero! A proposito di pensiero, vi sarà ormai chiaro che io leggo nella vostra mente: è molto strano, fino a oggi non sapevo neppure di esserne in grado… Curiosamente vi ho udito pensare anche a distanza. Stavo tranquillamente raccogliendo erbe selvatiche nel bosco, ma sono stata costantemente disturbata dalla vostra speranza di rivedermi! Sono venuta qui per chiedervi di non pensarmi più e di proseguire con la vostra esistenza. Non avete proprio nulla di meglio da fare?»

«Signora, vi chiedo scusa, ma siete la creatura più bella e interessante che abbia mai conosciuto! L’idea di non rivedervi mi rattrista; io vorrei piuttosto parlare con voi, conoscervi meglio.»

«Per quale ragione?»

«Perché è questo che la mia gente fa quando… quando trova una persona come voi.»

«Come me?»

«Una persona tanto gentile al punto di accogliere un perfetto estraneo ferito in casa propria e rimetterlo in salute.»

Aurisio scorse un barlume di dolcezza illuminare il viso della giovane.

«Non avrei voluto spaventarvi ieri, ma sfortunatamente non posso trasformarmi in nessun animale eccetto la tigre. Ho curato molte persone prima di voi, ma a nessuna di loro ho permesso di ricordarsi di me. Ho inventato un incantesimo che serve proprio a cancellare la memoria della mia presenza; l’ho chiamato Condanna del ricordo… non è un granché come nome, lo so, ma non mi è venuto in mente niente di meglio. In poche parole, cancello i ricordi delle creature che curo, in modo che si dimentichino di me… Almeno finché non mi rivedranno in faccia (e non permetto che succeda). Sapete, erano forse settant’anni che nessuno metteva piede nella Foresta Sacra, come voto alle divinità dei boschi. Mi domando come mai proprio voi abbiate deciso di infrangere questo voto!»

«Temo di non potervelo dire…»

«Non importa, tanto lo so già, e so anche che vostro padre ha infranto questo voto prima di voi. Ovviamente lui non mi vide, nascosta com’ero tra le foglie, ma io vidi lui, ormai quarant’anni or sono, in cerca di un raro fiore da donare a vostra madre… Sia voi, sia vostro padre siete nati con un preziosissimo dono, non è così?»

«Sì, signora» confermò il principe. «Mio padre, sin dalla nascita, è in grado di vedere piccoli stralci di futuro… e anche io. Tuttavia, non possiamo rivelare nulla a nessuno di quanto vediamo; gli Oracoli ne sarebbero offesi.»

«Oh, lo so bene… Conosco personalmente gli Oracoli. Io stessa ho avuto occasione di sbirciare nei loro specchi d’argento più volte… Ma voi siete dei semplici mortali; mi chiedo perché abbiano scelto di farvi questo dono.»

«Anch’io mi chiedo una cosa: come mai avete deciso di mostrarvi in volto proprio a me?»

«Temo di non sapere cosa rispondervi. Perché vi ho portato in casa mia e mi sono mostrata in forma umana? Non posso rispondere neppure a questo, so solo che era la cosa giusta da fare.»

«Ma voi che cosa… che cosa siete?» domandò il principe, tremando.

La fanciulla sorrise e prese a toccarsi i lunghi capelli. «Sono una tigre» rispose alla fine. «Sono una donna, sono una matta, sono una fata… e a volte una strega!»

Da quella sera in poi, la ragazza-tigre decise di comparire ogni notte nella camera del principe. I due parlavano, leggevano libri e si raccontavano le proprie vite, ma all’alba lei spariva nel nulla senza nemmeno salutare. Aurisio dormiva tutto il giorno, attirandosi più di un rimprovero dai genitori e dal precettore.

Una notte, durante un novilunio, la fanciulla comparve con molto anticipo rispetto al solito. «Oggi mia madre non potrà vedermi né sentirmi» disse, sdraiandosi sul letto del principe. «Potremo parlare di quello che vorrai, anche della mia storia, se lo desideri.»

«Narrami tutto, te ne prego!» incalzò lui, trepidante d’attesa.

«Dunque, iniziamo dal principio… Mia madre è colei che voi chiamate Luna; stanotte però volge il viso altrove, come la notte in cui fui creata, e non potrà vedermi. Preferisco che non sappia cosa ci racconteremo stanotte, almeno per adesso… le dirò tutto a tempo debito.

«Il mio nome è Menulis e non ho quel che voi chiamate cognome; il mio secondo nome è il nome di mia madre. Ho tantissime sorelle sparse per l’universo e ciascuna vive a modo suo. Io sono un’erborista, vago per i boschi di tutto il continente che voi chiamate Alisia e mi prendo cura della flora e della fauna; veglio sull’ecosistema della natura e creo nuovi innesti e nuove specie. Proteggo tutti coloro che si addentrano nei boschi e prego per i contadini e per i loro raccolti. Quando sento nell’aria che una donna partorisce o che qualcuno si ammala mortalmente, io entro in casa sua senza farmi vedere e preparo i miei incantesimi protettivi, così che se ne vada solo colui o colei per cui è davvero giunta l’ora.

«La forma ferale e la forma umana con cui mi hai visto sono differenti dal mio vero essere: io sono acqua, terra, ghiaccio, fuoco, ma soprattutto vento; ai tuoi occhi somiglierei a un luminoso fantasma dall’aspetto femminile. Non so neppure io quanti anni ho, ma credo diverse migliaia. Mia madre ha predetto il mio destino il giorno stesso in cui nacqui e pare che i miei giorni su questa terra stiano ormai per scadere…»

«Non starai per morire, vero?» domandò Aurisio, portandosi le mani alla bocca.

«Cosa? No, certo che no!» ridacchiò Menulis. «Io sono immortale, ma verrò richiamata a vivere con le mie sorelle più anziane e con i loro sposi, accanto a mia madre; è questo che lei ha stabilito. Poi un giorno mi reincarnerò di nuovo, magari in un’altra galassia… Il nostro destino è innamorarci di una creatura mortale, assumerne la forma e dare vita a una discendenza che possa proteggere il pianeta in cui abbiamo vissuto anche dopo la nostra dipartita.»

«La tua forma umana è solo una veste che indossi, oppure disponi davvero di un corpo fisico?» domandò il principe, sfiorando con le dita la mano candida di Menulis.

«Come ti ho detto, il mio vero corpo è ben diverso da quello che vedi; ho assunto una forma umana per somigliare a te e alla tua specie. Solo se mi legassi a un mortale disporrei di un vero corpo umano, se pur incorruttibile dalla malattia e dalla vecchiaia. Dovrei cominciare a mangiare, dormire e altre cose che fate voi per sopravvivere, anche se con frequenza inferiore. Il mio corpo somiglierebbe a quello di una donna e potrei mettere al mondo dei figli sani. Se generassi delle figlie femmine, esse avrebbero in dono tutti i miei poteri, eccetto quello di trasformarsi in tigre, e io potrei andarmene serena da questa terra sapendo che qualcuno proseguirà la mia opera.»

«Hai mai pensato di legarti a un mortale?» domandò Aurisio, arrossendo.

«Chi lo sa, chi lo sa… È il momento di andare! Buonanotte!»

L’inverno era ormai alle porte: Aurisio stava per compiere trent’anni e i suoi genitori avevano organizzato un ballo al quale avrebbe partecipato tutto il regno, nella speranza di scovare tra le invitate la futura regina di Elberas. Il re e la regina confidavano in cuor loro di poter presto abdicare in favore del figlio, ma il compito di reggere un regno così vasto sarebbe stato troppo gravoso per un uomo solo, senza una compagna amorevole accanto. Aurisio, dal canto suo, aspettava con angoscia il giorno dei festeggiamenti; cosa potevano essere le altre fanciulle in confronto a Menulis? Nient’altro che un branco di gattini spelacchiati!

Giunse infine il giorno del ballo: Aurisio apparve in pubblico vestito di blu e d’argento, con il diadema di platino dei principi di Elberas a coronare la lunga chioma nera. Sembrava il ritratto della gioventù e della regalità, ma nel fondo dei suoi occhi albergava la mestizia: Menulis non si era fatta viva per tre notti di fila e Munvestia era invasa da centinaia di ragazze civettuole e ridanciane.

Il principe ballò con le più intraprendenti e fu gentile con tutte, ma non fu in grado di ricordarsi il nome di nessuna.

Verso il tramonto, quando il sole era quasi scomparso, il re chiese l’attenzione degli invitati:

«Care sorelle e cari fratelli, siamo qui oggi per festeggiare il compleanno del futuro sovrano di Elberas. Io, re Hayrik Kindreik, e la mia adorata moglie, regina Sirime Arpes, siamo onorati di aver servito la nostra brava gente per tanti anni, ma siamo consci del fatto che presto le forze fisiche e mentali ci abbandoneranno: siamo entrati nel settimo decennio della nostra vita ed è giunto il momento che nostro figlio affronti la prova per cui si sta preparando da sempre».

Il re, ancora maestoso con la sua corona d’acciaio, si volse con occhi commossi verso Aurisio. «Prima di lasciare la corona che con gioia abbiamo portato sul capo, vorremmo assicurarci che tu, figliolo diletto, non rimanga da solo. È nostro desiderio che tu abbia una sposa al fianco con cui spartire questo onorevole fardello, pertanto quest’oggi, insieme al tuo compleanno, vorremmo festeggiare anche il tuo fidanzamento. Mi sono preso la briga di cercare personalmente la fanciulla che tu saprai rendere felice e che governerà il regno al tuo fianco; Aurisio, ti presento la tua futura sposa.»

Il re guardò in su, alzò il braccio e tese la mano come a voler afferrare qualcosa d’invisibile. Lentamente, nell’alto soffitto della sala del trono, una lieve luce iniziò a brillare, divenendo sempre più intensa; in pochi secondi quella luce divenne la sagoma di una ragazza vestita di blu e di argento, coronata da lunghi capelli biondi. La ragazza, ancora a mezz’aria, tese la mano verso quella del re e la strinse; dopo alcuni istanti posò i piedi nudi sul marmo rosa e sorrise divertita al povero principe, che a stento tratteneva le lacrime di gioia. Il re afferrò la mano di suo figlio e la unì alla piccola mano di Menulis.

Nessuno osò parlare, ma lo stupore dei sudditi permeava quel momento come una spessa coltre di nebbia.

«Costei» spiegò l’anziano re, «è Menulis, dea figlia della Luna, custode della Quercia Bianca e della Foresta Sacra. Ha vissuto nascosta come ogni altra figlia della Luna per migliaia di anni e ha vegliato su di noi e sui nostri raccolti senza mai chiederci niente in cambio. Eppure, per motivi che nemmeno gli Oracoli mi possono rivelare, questa fanciulla così preziosa per noi tutti ha deciso di donare il cuore al nostro amato principe e di divenirne la sposa. Che voi siate benedetti, figlioli, da qui alla fine dei tempi!»

Menulis si inchinò di fronte al popolo di Elberas e nessuno poté esimersi dal ricambiare quell’inchino; tutti, però, alzarono presto il viso e presero ad applaudire nel vedere Aurisio afferrare Menulis per la vita, sollevarla in aria e baciarla.

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