Guanciali speciali e amebe a riposo
Mi asciugai l’angolo dell’occhio sinistro con il dorso della mano, tirando su col naso prima di seppellire la testa nel mio guanciale rosa.
Quel guanciale era davvero speciale per me; non perché raccontasse qualche storia commovente, ma perché me l’ero fatto fare su misura da un’artigiana. Ero sempre stata molto schizzinosa per quanto riguardava i guanciali del letto (e non solo per quello, a dirla tutta), ma quella donna aveva confezionato un piccolo capolavoro. Dopo tutti quegli anni era ancora morbido e comodo, nonostante l’imbottitura un po’ schiacciata.
“Posso dormire sul cuscino insieme a te?” domandò una voce querula da felide petulante.
“Se ti dicessi di no, cambierebbe qualcosa?” borbottai, mentre Norvy già si accomodava dall’altro lato del letto.
“Ovviamente no, quindi risparmiati la fatica”, disse lui, impastando ben bene la federa con le zampe davanti. D’improvviso, Norvy si fermò, mi diede un’annusata e passò la sua lingua ruvida sulla mia guancia.
“Ehi!” gridai. “Sei diventato un cane senza dirmelo?”
“Sei salata”, annunciò lui. “Hai pianto per caso?”
Non risposi, voltandomi dall’altra parte.
“Che è successo?” incalzò Norvy. “Ne vogliamo parlare?”
“Da quando sei diventato il mio terapeuta?”
“Da quando ti leggo nel pensiero! Allora, mi vuoi dire cosa c’è che non va?”
Sapendo che quella conversazione non sarebbe stata facile, presi fiato e mi decisi a rispondere: “L’ansia.”
“Ah, sai che novità. Ecco, lascia che ti racconti una cosa: se un gatto calpesta per sbaglio del cemento bollente, si ricorderà per sempre del bruciore che ha provato sulla zampa. Per sicurezza, non camminerà mai più su quel pezzo di strada.”
“Che vorresti dire? Che uno deve fuggire dai problemi anche quando ormai il cemento si è freddato?”
“No, sto dicendo che noi gatti non ci facciamo mai ferire due volte dalla stessa cosa. Forse la metafora non era delle migliori, ma cerca di capirmi. Tu sei ansiosa da tanti anni ormai, eppure permetti ancora all’ansia di farti del male. Non sarebbe il caso di smetterla?”
“Eh, la fai facile. Come se potessi deciderlo io!”
“Tu non hai il controllo sull’ansia, lo capisco, però hai il controllo sul tipo di reazione che puoi avere rispetto a lei. Per esempio, invece di stare qui a piangere, potresti scrivere qualcosa o disegnare una di quelle figure con gli occhi grossi e spiritati che ti piacciono tanto.”
“Non è mica così semplice; quando mi sento così, mi manca la voglia di fare qualsiasi cosa. E invece devo fare un sacco di cose lo stesso, anche se non ne ho voglia, anche se vorrei solo star qui a vegetare.”
“Ma almeno ti piace star qui a vegetare?”
“Certo che no!” gridai. “Odio starmene qui come un’ameba, vorrei potermi divertire da sola o in compagnia, lavorare serena, essere produttiva e imparare cose nuove!”
“Quindi tu non vuoi fare delle cose che ti piace fare per poterne fare una che invece non vuoi fare.”
“Lo so che non ha senso”, balbettai. “Ma…”
“Oh, no, ce l’ha eccome invece. Conosco voi umani da abbastanza tempo per capire che ragionate in modo molto contorto, ma non certo illogico. Tuttavia, vista la situazione, io direi che un po’ di tempo come ameba non ti farebbe male; magari poco poco, per non farti sentire in colpa.”
“Dovrei semplicemente riposarmi, dunque?”
“Noi gatti risolviamo quasi tutto con il riposo, tutto eccetto la fame. Siamo arrabbiati? Dormiamo. Abbiamo rotto qualcosa? Dormiamo. Al risveglio è ancora rotto? Sì, ma ormai che ci possiamo fare? La super colla non la sappiamo mica usare!”
“E io la so usare invece?”
“Chiara, a volte ciò che è rotto rimane rotto, ma non vuol dire che non serva a niente. E pensa che tu non sei nemmeno rotta, figurati quante cose puoi fare!”
“Sicuro che non sono rotta?”
Norvy mi venne più vicino e prese a fare la pasta sulla mia pancia.
“Beh, io di crepe non ne vedo!” disse lui ridendo.
Abbracciai stretto Norvy, lasciandomi sfuggire un’altra lacrima. Strizzai gli occhi per farla uscire, ma quando li riaprii lui non c’era più.
“Sì che ci sono” disse una voce nella mia testa. “E adesso leggi un pochino e poi usalo, quel tuo benedetto guanciale!”
Presi un libro dal comodino e mi lessi un intero capitolo; l’unica nota stonata fu il non trovare nessun pelo grigio tra una pagina e l’altra.